Le fate poetiche: Un operaio dell' Ottocento riflette

martedì 18 novembre 2008

Un operaio dell' Ottocento riflette


Solita notte all’osteria, sono in fila al bancone per prendere un boccale di birra e intanto, sul tavolo, degli ubriachi fanno battute senza senso, che luogo squallido; anzi è proprio la mia vita a essere squallida: sveglia alle cinque del mattino, si entra in fabbrica. Uomini donne e bambini lasciano gli enormi stanzoni odoranti di letame per raggiungere il posto di lavoro. Dopo di che inizia il solito massacrante turno, fino alla sera a muovere i macchinari con uno stipendio penoso e nessuna garanzia infatti proprio oggi il ragazzino che dormiva a fianco a me è stato fatto sgomberare perché si era troncato un braccio in una macchina. Non sono solo triste ma anche arrabbiato pensando alla mia vita in confronto a quella di un borghese, piena di lussi e comodità: sveglia seguita da una passeggiata mattutina, poi il pomeriggio invitano altri borghesi a casa per un tè e la sera ricevimenti lussuosi. Per non parlare dei loro figli straviziati con ogni giocattolo esistente e poi, appena hanno l’età giusta, vengono spediti in collegio, che loro considerano un inferno invece un posto in collegio era uno dei più grandi sogni per il ragazzino che oggi ha perso un braccio.
È facile per loro catalogarci come bestie, ubriaconi, scansafatiche e con altre offese, senza essere mai entrati in una fabbrica.
C’è chi considera l’alta borghesia composta da esseri superiori fuori dalla nostra portata.
Non sono gli abiti sfavillanti o essere invitato ai numerosissimi ricevimenti a fare qualcuno più umano di qualcun altro che passa la giornata a rompersi le ossa in fabbrica tutto il giorno, con il rischio di infezioni dovute allo sporco
I borghesi potranno dire ciò che vogliono ma io non mi sento inferiore
Thik95

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